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Corte d'Appello di Bologna > Trasferimento lavoratore
Data: 11/05/2005
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 100/05
Parti: Elvira D. / Felsinea Ristorazione s.r.l.
TRASFERIMENTO PER INCOMPATIBILITA’ AMBIENTALE – NATURA DI MISURA CAUTELARE E NON DI PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE


Un’impiegata con funzioni di responsabile amministrativa di una scuola media di Parma veniva trasferita presso altro istituto per incompatibilità ambientale, in conseguenza dei suoi difficili rapporti col Capo d’Istituto, accusato dalla medesima di atteggiamento colpevolmente negligente. Impugnato il provvedimento con procedimento d’urgenza con cui lamentava la mancata specificazione dei fatti e comportamenti addebitati la lavoratrice vedeva respingere la domanda, anche in sede di merito, dal Tribunale di Parma, e conseguentemente proponeva ricorso alla Corte d’Appello di Bologna, che parimenti ha respinto il ricorso. Per i giudici di secondo grado la nozione di trasferimento per incompatibilità aziendale di cui all’abrogato art. 32 t.u. n. 3/57 attualmente è regolamentato dall’art. 567, comma 2 del D.lgsl n. 297/94 (ove la contrattazione collettiva non abbia diversamente disposto) e, per quanto non previsto, dai principi generali fissati dall’art. 2103 cod. civ. (v., per il personale docente, Cass. n. 11589/03). L’atto datoriale che viene ad incidere sulle modalità di svolgimento della prestazione è pur sempre un atto paritetico, ancorché espressione del potere di supremazia gerarchica, privo dell’efficacia autoritativa propria del provvedimento amministrativo. Di conseguenza la validità e l’efficacia del suddetto atto devono essere accertate dal giudice del lavoro secondo le categorie proprie del diritto civile (inesistenza, nullità, annullabilità, inefficacia) mentre i motivi soggettivi rilevano solo in caso di illiceità (art. 1418 e 1435 cod. civ.). Ciò posto, costituendo detto trasferimento una misura cautelare e non un provvedimento disciplinare, esso trova la sua causa nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva e va conseguentemente ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive previste dall’art. 2103 cod. civ. piuttosto che, sia pure tipicamente, a ragioni punitive e disciplinari (v. sul punto tra le tante Cass. n. 17786/02; n. 3525/01; n. 3207/98; n. 3889/89; n. 5339/87; n. 832/75). Quindi la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinderebbe dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale e procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. Sempre secondo la Corte di Bologna il controllo giudiziale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive potrebbe accertare solo se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell’impresa (v. Cass. n. 27/01; n. 11634/98; n. 9487/92; n. 3580/85) non potendosi estendere al merito della scelta imprenditoriale, che tra l’altro non deve avere necessariamente i requisiti dell’inevitabilità, essendo invece sufficiente che rientri in un criterio di ragionevolezza (v. Cass. 17786/02). In sintesi si ritiene sussistere la fattispecie dell’incompatibilità ambientale in caso di constatata - su dati oggettivi ed incontestabili – situazione di conflittualità con l’ambiente di lavoro: in tale ipotesi l’allontanamento del dipendente, più che a misura sanzionatoria correlata a comportamenti costituenti illecito disciplinare, è finalizzato a rimuovere la tensione nel generale interesse dell’Amministrazione e degli amministrati. Sulla base di queste premesse, risultando agli atti (anche dalla semplice lettura dell’atto d’appello) una oggettiva situazione di incompatibilità tra la ricorrente e la Preside, l’appello della lavoratrice è stato respinto